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turali, ma ad una ben congegnata manovra della Banque de France, che da una parte inibi agli stranieri l'uso dei crediti in franchi e dall'altra mise in azione una vivace pressione sullo scoperto della speculazione internazionale, che si attendeva dal franco francese tracolli similari a quelli subiti dal marco e dalla corona austriaca. Sopratutto gli speculatori in cambi di Germania, Austria, Olanda ecc. erano stati audacissimi nel vendere franchi allo scoperto. Tolta a tali ribassisti la possibilità di prendere a prestito i franchi loro occorrenti per pagare alle scadenze, e obbligatili a comprare sul mercato i franchi medesimi, la Banque de France, col concorso di un credito di cento milioni di dollari ottenuto dalla Casa Morgan e di 4 milioni di sterline avute da Lazard Bros di Londra ebbe facile giuoco a far migliorare il corso della propria valuta. Le ragioni della manovra in favore del franco francese, se possono giustificare la fermezza del suo corso, non chiariscono invece il rapido declinare della lira. Tanto rapido anzi, che giustamente il Ministro delle Finanze se ne allarma e interviene, nel marzo 1925, con varii provvedimenti diretti a combatterlo: procede all'annullamento di 860 milioni di biglietti; introduce il controllo della contrattazione di divise con facoltà di informarsi sui moventi delle operazioni, eleva il tasso dello sconto dal 5 1/2 al 6%, quello delle anticipazioni dal 5 1/2% al 6 1/2%; contemporaneamente tende ad avversare la tendenza alla « fuga dalla lira » che si traduce all'interno nell'acquisto frenetico di beni concreti, colpendo la speculazione sui così detti valori reali, azioni di industrie ecc., con una serie di misure disciplinatrici delle attività di Borsa, vietando l'acquisto di titoli a termine, esigendo margini e scarti del 25%, prima non domandati, riducendo il numero degli agenti di cambio aumentato fuor di misura, elevando le cauzioni che essi devono fornire e regolarizzando la loro libertà di azione. La contemporaneità di tante e tanto energiche misure che colpivano in pieno grosse speculazioni, ingenti interessi e numerosa cerchia di operatori, anzichè giovare alla valuta, provocarono, col pessimismo diffuso, un precipitare non solo dei corsi dei titoli ma pure del cambio. Nè a questo giovarono gli ulteriori inasprimenti dei tassi nè le agevolezze successivamente consentite alle Borse e agli agenti di cambio. Lo sconto fu elevato il 3 giugno al 6 1/2 e il 18 dello stesso mese al 7 %. E neppure bastò a tranquillare il pubblico l'annuncio fatto dal Ministro De Stefani, il 2 giugno 1925, di un credito presso la Casa Morgan, per 50 milioni di dollari, al fine di difendere la valuta.

Consideriamo le posizioni iniziali un po' più lontane: l'avvento del Governo fascista si è già rilevato aveva aperto

gli animi all'aspettazione di un rapido realizzarsi di miglioramenti anche monetari, che per contro non possono manifestarsi da un giorno all'altro, ma richiedono tutta una dura, tenace e lunga opera di risanamento economico e finanziario. L'opera fu compiuta e brillantemente compiuta dal Ministro De Stefani col riordinamento amministrativo e con la ricondotta del bilancio in pareggio: per un certo periodo, però, anche in regime fascista si dovette procedere sulla base delle residue gestioni e condurre a termine la pesante e costosa liquidazione degli oneri e dei disavanzi, perchè i progressi economici non si possono realizzare a colpi di bacchetta. Dal punto di vista monetario, alla fine del 1922, malgrado la rigida condotta finanziaria, per effetto delle passività ancora da affrontare, invece che attendere miglioramenti, si sarebbero dovuto aspettare ulteriori peggioramenti del cambio, i quali si sarebbero verificati in misura di gran lunga maggiore di quelli, relativamente modesti, avvertiti dianzi, se la cura non fosse cominciata, energica e radicale.

L'aspettazione esagerata del meglio monetario fu esiziale per la realizzazione tempestiva e giustificata di tale miglioramento, a cura finanziaria avanzata e a risultati raggiunti. L'anticipazione psicologica fu troppo precipitosa e tolse la soddisfazione dei risultati concreti a posteriori. E questo perchè, fin dal novembre 1922, chi aveva da eseguire pagamenti sull'estero, ne ritardava la effettuazione, nell'attesa sicura di cambi migliori, mentre chi dall'estero riceveva valute, subito le realizzava. Il modo con cui quest'influsso della fiducia si tradusse in un cumulo di passività monetarie a distanza, ha la sua conferma nel movimento dei tassi dei riporti di valuta, che dimostra un crescendo di ricorso a questa forma dilazionatrice dei pagamenti esteri (2). Ed ecco che un anno o un anno e mezzo dopo l'avvento del Fascismo, malgrado gli sforzi compiuti e i risultati economici e finanziari raggiunti, la situazione reale del dare ed avere dei pagamenti internazionali risulta gravata da un'eredità di molteplici altri fattori ed elementi non operanti in favore della lira e le origini dei quali risalgono alla fase precedente alla restaurazione finanziaria:

1) cumulo di passività finanziarie anteriori;

2) conseguenze di annacquamento della circolazione per

(2) Mentre durante il 1922 praticamente non si paga nessun premio per ottenere a riporto dollari o sterline contro equivalerte versamento di lire perchè tutti liquidano alla scadenza i debiti e i pagamenti dovuti in mone ta estera, nel 1923 e nel 1924 si pagano invece premi elevati per la generale tendenza a prendere a prestito divise per differire i pagamenti dovuti: il premio sulle sterline sale fino a 30 centesimi al mese.

effetto dei salvataggi bancari la cui necessità fu ereditata dal periodo precedente. Maturazione delle influenze deprezzatrici delincremento della circolazione precedente manifestatesi con lentezza per i noti attriti e le sapute resistenze;

3) influenza di carattere inflatorio della accresciuta velo. cità della circolazione, dovuta al ritorno della fiducia per le nuove condizioni politiche interne, per il superamento delle lotte sociali e per la subentrata calma bancario-creditizia dopo i salvataggi;

4) eredità di una posta considerevole di debiti bancari a vista a favore di stranieri (conti « loro ») che sotto l'influenza dei miglioramenti del cambio, prima, e del cedimento successivo, manifestarono tendenze ad allontanarsi.

A queste cause si aggiunsero le avverse influenze: della pressione di « simpatia » del crollo della valuta germanica e di altre monete fortemente avariate; del pessimismo americano circa le condizioni europee, acuto specie verso la fine del 1923; dei cattivi raccolti nel 1924; della furibonda lotta delle opposizioni verso la fine del 1924, che all'estero faceva temere la possibilità di un crollo del regime; troppo attive esportazioni di capitale italiano all'estero. Tutti siffatti elementi contrari alla lira vennero ad assidersi sopra una tendenza di vibrata espansione economica, dovuta alla facilità e al buon mercato del denaro, tanto che il volume della circolazione ripiglia a ingrossare. Qualora si considerino non già le cifre di fine d'anno, ma le medie mensili, il numero indice della circolazione complessiva passa da 733.2 nel 1923, a 737.8 nel 1924 e a 774.4 nel 1925. Questa è la posizione nel 1923 e nel 1924. L'aspettazione fiduciosa del miglioramento dei cambi permane fino a quasi tutto il 1924. I tassi dei riporti stanno a documentarlo. Si pagano ancora, nel settembre e nell'ottobre 1924, 11 e 8 centesimi per avere a riporto delle lire sterline. C'è uno scoperto di divisa da parte dell'Italia: c'è un cumulo di debiti a immediata scadenza da effettuare fuori di casa. La bilancia dei pagamenti, durante il 1924, non è tale da consentire con proprie eccedenze attive di liquidare anche l'eredità delle partite passive differite dal passato senza una sensibile ripercussione sul cambio, sebbene nel suo complesso la bilancia dei pagamenti esteri dell'annata 1924, senza riferimento all'eredità sopra accennata, non si debba presumere sfavorevole.

Gli elementi concreti della situazione economica italiana infatti, se operanti solo nella loro realtà attuale, non avrebbero dovuto essere contrari al corso della lira: lo sbilancio commerciale ridottosi di oltre un miliardo di lire in confronto del 1923; emigrazione press'a poco identica a quella dell'anno precedente,

però con un incremento dell'emigrazione continentale, in confronto a quella transoceanica, ciò che monetariamente rappresenta un peggioramento; migliorato il prodotto del tourismo in Italia e della navigazione. Per contro un eccesso di investimenti di capitali italiani all'estero: acquisti di titoli di Stato francesi, partecipazione all'emissione dei Prestiti per l'Ungheria e la Germania, rimborso del prestito di 10 milioni di dollari contratto nel 1920 in America. In totale, il 1924, tutto sommato, non deve essere stato in grado di assorbire ed esaurire le passività differite: donde la pressione sul cambio dianzi segnalata. Disgraziatamente, verso la fine del 1924 vari fattori intervengono, come si è accennato, in senso ostile alla nostra bilancia dei pagamenti internazionali, e al nostro cambio. Essi sono in ispecie: la necessità di liquidare una buona volta, anche in vista del cattivo raccolto e delle sue conseguenze, i pagamenti differiti per importazioni diverse fatte in precedenza ed in ispecie di carbone, cotone ecc.; la necessità di forti importazioni granarie dato il minor raccolto avutosi nel 1924 mentre sul mercato internazionale i prezzi sono in sensibile aumento, così che il relativo fabbisogno di divisa fortemente si accresce; e dal punto di vista psicologico, la ripercussione della violenta campagna delle opposizioni contro il Governo, dopo il fatto Matteotti, come pure la sempre più larga e diffusa sensazione di un'incipiente pressione anglo-sassone in vista di ottenere dall'Italia il regolamento dei così detti debiti di guerra. Sotto la congiunta influenza di questi elementi sfavorevoli, si manifestò un declinare della lira che prese a rapidamente accentuarsi e, di ribasso in ribasso, toccò il fondo solo nell'agosto 1925: quando un'ampia manovra intervenne da parte del Tesoro a contrastarne il pericolosissimo corso (3).

Agli elementi psicologici avversi sopra enumerati va aggiunto quello indiretto, ma efficacissimo, connesso ai movimenti speculativi in Borsa, di cui si è precedentemente discorso. La flessione continua del franco compì il resto. Il risultato fu che, verso la fine del 1924 e nel primo semestre 1925, i commercianti

(3) La caduta del cambio è precisata dalla seguente tabellina che continua e completa quelle contenute nel testo (medie mensili in cents, a New York):

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italiani non solo pagarono tutte le partite debitorie che avevano ancora coll'estero, ma altresì si procurarono delle scorte di divisa eccedenti i loro bisogni ed accrebbero, pagandoli, i rifornimenti esuberanti di materie prime, mentre gli esportatori tesaurizzavano all'estero il ricavato in divisa delle loro vendite e si manifestava qualche esodo di lire al puro e semplice intento della trasformazione in valuta aurea. L'estero assecondò la tendenza declinante della lira con vendite allo scoperto. Indice e prova: nel luglio 1925 non si pagava più un premio per ottenere delle sterline e dei dollari a riporto, ma viceversa. La lira era ricercata dai ribassisti per avere il mezzo di prolungare, con maggior beneficio, le operazioni di vendita in corso. In queste condizioni la lira non poteva che precipitare. E ogni nuovo ribasso, come avviene sempre in simili casi, attirava nuovi adepti alla causa di un ulteriore ribasso. La psicosi dell'« anti-lira » diventava sempre più profonda e generale. Nè riusciva a demolirla la conversione del Ministro delle Finanze alla teoria del ricorso al credito estero per contrastare alle tendenze disfattiste.

L'annuncio dell'apertura di un credito estero fu dato dall'On. De Stefani, il 2 giugno 1925, in un discorso pronunciato ala Camera dei Deputati.

Neanche dopo quest'annuncio, la lira ebbe a rialzarsi: continuò a inasprirsi il cambio; si assottigliavano sempre più le risorse di cassa del Tesoro; si enfiava la circolazione (4). Sotto l'ondata della sfiducia, sotto l'accavallarsi della speculazione ribassista, in mezzo al panico del pubblico, il Ministro che aveva effettivamente restaurato le finanze del Paese, Alberto De Stefani, rassegnava le dimissioni al Capo, vittima della generosa sua illusione di assicurare al Paese, con un denaro più a buon mercato di quello che le condizioni generali della nostra economia lo consentissero, un periodo di forte espansione economica e, in pari tempo, di iniziare il consolidamento e la conversione del debito pubblico. Erano generosi propositi e in essi v'era

(4) Sulla crisi di fiducia, di circolazione e di cambi del giugno 1925, la relazione della Banca d'Italia reca le seguenti osservazioni. «Nel giugno la cifra degli impieghi ordinari degli istituti di emissione spicca subitamente il salto da 8.020.4 milioni al 31 maggio a 10.104.1 milioni: 2.083.7 milioni di aumento in un solo mese. Per ciò che si riferisce alla rapida enfiagione svoltasi dopo i segni premonitori del marzo, ai quali erano state opposte inevitabili prudenti restrizioni gli istituti di emissione dovettero fare un mag. gior uso di credito all'intento di render possibile una liquidazione che si annunziava difficile, e di allontanare una crisi di fiducia che avrebbe potuto avere non desiderate conseguenze per l'economia generale. Superato un siffatto periodo malagevole, l'orizzonte andò rischiarandosi pur non riacquistando ancora una assoluta limpidezza ».

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