Page images
PDF
EPUB

raggio per osare tanta finzione di virtù dopo i precedenti del 1921 e del 1924. Il colpo menato nel 1924 al Governo di Fan Noli fu dimostrato d'origine jugoslava, o meglio serba, da numerosissime prove: la presenza di soldati serbi fra i prigionieri, l'armamento degli insorti e dei comitagi con cannoni serbi, la partecipazione di elementi wrangeliani, notoriamente a pensione presso il Governo serbo, la cattura di armi e munizioni serbe su un veliero nel Lago di Scutari, il ricovero dato ai comitagi feriti nell'ospedale di Ueskueb e in altri ospedali jugoslavi, ecc ecc. Peggio: non solo il ministro Spalaikovich, nella Politika di Belgrado, ma lo stesso ministro Nincich in un giornale francese ammisero che il governo albanese del 1924 era stato rovesciato col soccorso finanziario e militare della Jugoslavia.

Per comprendere meglio, come il Governo di Belgrado agisca, conviene ricordare che esso può sempre disporre di forze apparentemente irresponsabili. Magari le combatte sulla scena per non attirarsi pericolose conseguenze politiche: ma poi, dietro le quinte, le soccorre per vie nascoste. Così è con l'Orjuna, contro cui la politica del Governo serbo ha proceduto più volte, ma alla quale il Governo stesso ha fatto trovare le uniformi e le armi usate dalle squadre nei magazzini militari di Novisad. Forze occulte, che sembrano estranee al Governo e invece ne regolano il funzionamento principale, sono le organizzazioni della Massoneria (che ha una succursale a Parigi, rue Cadet, nella « Loggia francojugoslava al titolo Général Peigné », presieduta dal generale Lamiable) e della « Mano Bianca », alle quali appartengono sopratutto militari e uomini molto in vista del partito radicale serbo. Massoneria e Mano Bianca lavorano d'accordo: tant'è vero che, l'anno scorso, i massoni internazionali convenuti a Belgrado furono ricevuti dagli ufficiali della Mano Bianca nel Palazzo della Guardia Reale e ivi salutati dal maggiore Lazarevich. La Narodna Obrana, che, secondo Ljuba Jovanovich, fu avanti la guerra l'esecutrice dei piani dell'allora potente Mano Nera e con ciò anche dell'assassinio di Serajevo, si ricostituì nel dicembre del 1925 per rendere eguali servigi alla Mano Bianca. Sino dalle sedute inaugurali, a cui

intervennero i delegati della Orjuna e della Srnao (organizzazione della gioventù serba nazionalista), furono tenuti discorsi irredentistici antitaliani, affermando essere compito della nuova associazione preparare la nazione alle lotte sanguinose, che la aspettano nell'Istria. Nella prima seduta Joza Jovanovich presentò l'Italia come principale nemica degli Jugoslavi, proprio così come nella Narodna Odbrana d'avanti guerra veniva presentata l'Austria. Quando fu pubblicato il Patto di Tirana, la stessa associazione lanciò un proclama rovente contro un'Italia marciante alla conquista territoriale dei Balcani. Nel 1909 la Narodna Odbrana, per avere un organo esecutivo della sua politica di provocazione, spesso criminale, aveva fondato un proprio corpo di comitagi; in breve questa organizzazione, rimanendo in apparenza alle dipendenze della Narodna Odbrana, passò invece sotto il diretto controllo dello Stato Maggiore. La Comandò dapprima il maggiore Milan Vasich, ufficiale effettivo, poi il maggiore Tankosich, anche effettivo, notissimo per la parte avuta nell'assassinio di Serajevo, e infine il maggiore Milutin Vemich. I comitagi pronunciavano un feroce giuramento di fedeltà ai loro capi e avevano quel coraggio da disperati e da selvaggi, che caratterizzano tutti i banditi dei Balcani. La stessa organizzazione dei comitagi esiste anche oggi, in diretta relazione con la Mano Bianca e con la Narodna Odbrana: la comanda uno dei pezzi grossi della prima associazione, il colonnello Pavle Jurisich, ed è, come avanti il 1914, sotto il controllo e a totale disposizione delle sette e dello Stato Maggiore di Belgrado, che fornisce le armi e le munizioni. Le bande, che stanno sempre vicine alle frontiere, agiscono secondo gli ordini ufficiali, ma possono essere rinnegate come organismi irresponsabili. La loro connessione col centro responsabile è nota a tutti in Serbia: agli stranieri non apparisce tangibilmente. Un giudizio sugli elementi << irresponsabili » mantenuti dal Governo di Belgrado e a sua disposizione per ogni evenienza si può avere considerando che vivono e agiscono in territorio jugoslavo, regolarmente organizzati e ufficialmente tutelati e sovvenzionati, i resti delle truppe di Wrangel, i fuorusciti agrario-comunisti e stamboliskiani, proscritti dalla Bulgaria,

e i comitati degli emigrati albanesi. Ricorderò altresì, che nell'organizzazione dell'attentato contro il Re Boris e dell'orrendo misfatto della cattedrale di Sofia (pasqua del 1925) parteciparono attivamente, com'è noto, i fuorusciti su citati, concentrati in massa dal Governo serbo presso la frontiera bulgara: strumenti detti «< irresponsabili », ma consapevolmente organizzati e sfruttati di nascosto dai << responsabili » di Belgrado.

VI.

Eguale sistema sarebbe dovuto essere applicato nella passata primavera in Albania. Il colpo fu sventato solo dall'energia di Mussolini. Il quale, allo sconcertato arrabbattarsi della politica jugoslava, ha poi opposto una serenità e una forza veramente ammirevoli. Quando più la concomitante azione di Belgrado e di alcune Potenze occidentali premeva sull'Italia per spingerla a trattative dirette coi Serbi, quando questi più s'accaloravano a domandare, con vera vanità di cervello, un'inchiesta sui confini italiani e una discussione a due o internazionale sul Patto di Tirana, Mussolini tagliò corto con un rifiuto deciso, che sbalordi tutti gli avversari: pronta, l'Italia, a trattare con gli Jugoslavi, ma del Patto di Tirana non una parola, perchè questo non li riguarda. Poi, mentre accesa da questo nuovo colpo, continuava in Jugoslavia e nell'Occidente l'aspra campagna tendente a piegare l'Italia sulla tesi di principio enunciata, il 14 maggio Mussolini pubblicò un altro patto, con cui l'Italia e l'Albania s'impegnavano a non accettare alcuna discussione con terzi senza previo compiuto accordo. Nel frattempo fece regolare a tutto vantaggio nostro con decreto reale le questioni riguardanti la cittadinanza dei Fiumani, che erano contemplate dalle Convenzioni di Nettuno, mostrando così agli avversari che l'Italia poteva fare anche a meno di quelle Convenzioni. Infine, il 24 maggio, volle che l'inaugurazione del « faro della vittoria », a Trieste, fosse un'imponente e solenne dimostrazione della volontà italiana, un'affermazione della

nostra unità e della nostra potenza sul mare Adriatico e sulla frontiera giuliana. La presenza della Maestà del Re, l'intervento d'una poderosa squadra, la sfilata di tutte le camicie nere del Friuli, del Carso e dell'Istria, nonchè la partecipazione dei Dalmati diedero significato altissimo alla manifestazione.

Nella Jugoslavia, invece di capire il latino e di pensare seriamente ai mali passi, che stavano facendo, risposero ancora con le disordinate invettive della loro stampa. Ma nessuna delusione fu risparmiata alle pretese degli Jugoslavi. I quali si illusero di vederci impressionati e indeboliti dalla campagna della maggioranza della stampa francese, dall'unanime ostilità della stampa tedesca e dall'ambiguità dell'inglese; s'illusero di poter provocare un dibattito alla Lega delle Nazioni; s'illusero di vederci costretti a ridiscutere mediante trattative a due il Patto di Tirana; s'illusero di poter intaccare la nostra posizione in Albania e s'illusero sopratutto di trovare nei Governi delle Grandi Potenze quell'ausilio che trovavano nella stampa. S'illusero infine, che bastasse cantare il vieni meco per veder la Bulgaria, la Turchia e la Germania gettarsi nelle loro braccia. Invece, respinti o appena ascoltati, dovettero constatare, che la medesima Francia, malgrado i patti noti e i segreti, non rappresentava per essi nulla più che un'amara consolazione. Fu probabilmente una crisi prodotta da tante delusioni che li trascinò a quella nervosità e a quella precipitazione, con cui ruppero le relazioni diplomatiche con l'Albania dopo l'arresto della spia Giuraskovich. Energia a rovescio e a sproposito, sul metodo di Origene, perchè lasciava a noi il campo anche più libero, senza più commuovere contro di noi la gazzarra della stampa internazionale.

Questa leggerezza, questa nervosità, questo credere alle proprie allucinazioni rendono pericolosa alla pace la politica della Serbia e di tutta la Jugoslavia. Gli uomini politici di Belgrado, come dicevo, sono fuori della realtà. Non hanno il senso delle proporzioni, nè quello della critica. Non s'accorgono quanto sieno vaste e pericolose le conseguenze dell'inquietudine che eccitano sollevando tante inutili questioni per l'Albania e accendendosi come

[ocr errors]

solfini a ogni piccolo urto. Con iperbolica ignoranza non comprendono che l'Italia è in tutto e per tutto diversa dai loro nemici del passato. Mentre Pribicevich, il 16 febbraio, parlava alla Skupstina contro l'Italia, un deputato serbo s'alzò gridando: «sono cadute l'Austria e la Turchia e così cadrà anche l'Italia! ». Un imbecille? No; un uomo, che ha dato voce a una ridicola convinzione, diffusa in tutti i paesi jugoslavi. Dove tutti, fuori di pochi ignoti, sono persuasi che il Regno S. C. S. avrà un giorno ragione dell'Italia come l'ebbe dei due Imperi caduti. Abbiamo distrutto dicono con prosopopea, che sembra incredibile a chi non li conosca abbiamo distrutto l'Impero degli Asburgo e quello della Mezzaluna e distruggeremo anche l'Italia, che, soggiungono, vale meno di quelli. Questa megalomania e questo disprezzo dell'Italia, che non è proprio dei soli Croati, ma anche dei Serbi (i quali hanno portato alle stelle un infame libro del generale Daskalovich su Caporetto) possono avere conseguenze pericolosissime per la pace. Il poeta Lovrencich, salutando nell'ottobre dell'anno scorso i deputati cecoslovacchi a Lubiana, esclamò: « Sull'Isonzo e sul verde Adriatico il nostro popolo soffre ancora in catene. Ma coraggio! I nostri padri hanno sognato la libertà e aspettano il redentore. E noi abbiamo trovato la via ». Di queste affermazioni di fede nella conquista della Giulia se ne potrebbero citare a decine: si potrebbe di più ricordare o i discorsi di Radich o le pubblicazioni serbe della Jadranska Straza (Guardia dell'Adriatico). È convinzione generale, più radicata fra gli Jugoslavisti ed espressa apertis verbis dal Protich, quand'era presidente del Consiglio, che un conflitto fra l'Italia e il Regno S. C. S. sia storicamente inevitabile. Il pensiero dei Serbi era ed è press'a poco questo: dopo aver allargato i confini nell'Europa danubiana e nei Balcani, risolvere la questione montenegrina e quella croata con l'aiuto dell'Italia, quindi, stabilita l'unità interna e aspettata la risurrezione della Russia, dare addosso all'Italia con l'aiuto di questa. E se la Russia mancasse, attendere ancora e farsi senz'altro alleati di quella qualunque potenza, fosse la Francia o fosse la Germania, che si trovasse in conflitto con l'Italia. Una megalomania senza pari anima questi

« PreviousContinue »