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sia, che Bismarck non approvava politicamente, ma che non poteva tuttavia far scartare dalle previsioni tecniche militari. Lo Czar ne era stato prontamente informato, e nuovi dubbî sorsero in lui sulla lealtà del Cancelliere germanico (11). Ma quando, durante la crisi delle relazioni austro-russe (dicembre 1887gennaio 1888) si chiese da parte austro-ungarica che fra gli Stati Maggiori di Vienna e di Berlino si concretasse un piano di campagna comune contro la Russia, Bismarck vi si oppose, perchè in tal modo si sarebbe incoraggiata l'Austria ad affrettare la rottura con la Russia e ad ampliare l'alleanza con la Germania ad una cooperazione germanica per fini specificamente austriaci. In quella circostanza egli rinnovò con insistenza e con impazienza la richiesta a Vienna, che il trattato austro-germanico del 1879 fosse pubblicato, affinchè l'ignoranza non inducesse le pubbliche opinioni ad illusioni sulla sua reale e limitata portata. La pubblicazione avvenne contemporaneamente a Berlino e a Vienna il 3 febbraio 1888 e valse molto a calmare le acque. In un discorso parlamentare del febbraio stesso Bismarck sottolineò l'indirizzo pacifico della politica nazionale, e la volontà di seguitare nei cordiali rapporti con la Russia. Ma nell'aprile successivo ottenne l'approvazione di nuovi e vasti progetti militari. La forza era nel suo pensiero elemento, e riserva sempre indispensabile per ogni politica proficua e, nel caso particolare, il modo migliore per indurre la Russia ad accettare nel 1890 il rinnovamento del trattato russo-germanico. Difficoltà maggiori Bismarck ebbe a superare con la morte del vecchio Imperatore (9 marzo 1888) e con la successione di Federico III, alle cui simpatie britanniche corrispondeva naturalmente avversione per la Russia. Ma un mutamento d'indirizzo non si ebbe; il regno del povero Federico durò anche troppo poco perchè la sua persona potesse esercitare influenza alcuna. Il primo viaggio che Bismarck fece intraprendere al nuovo Sovrano, Guglielmo II, fu alla Corte russa (luglio 1889); la visita fu restituita nell'ottobre, e Bismarck non ebbe altra preoccupazione che di assicurare il rinnovamento del comune Trattato. La instabilità delle relazioni russo-germaniche lo aveva sempre preoccupato, e indotto a vagliare ripetutamente la convenienza di una « opzione >> fra la Russia e l'Inghilterra, ma sempre egli aveva voluto evitarla. Nel 1889 (gennaio), egli fece rinnovare a Salisbury l'espressione della sua idea di un accordo segreto anglo-germanico, di carattere difensivo, nei riguardi di una eventuale aggressione francese; e ciò sempre nell'interesse generale della pace. Ma se era consequente Bismarck nel rifiutare di accettare impegni che avessero potuto coinvolgere la Germania in una guerra contro

(11) Il granduca Vladimiro così si esprimeva nell'aprile 1888 col figlio del Cancelliere, Herbert: « Il (lo Czar) reconnaît son génie (di Bismarck); mais il craint toujours d'être joué par lui ».

la Russia al servizio di interessi britannici, era consequente anche Salisbury nel riassumere la sua risposta nelle parole « Meanwhile we leave it on the table (la proposta germanica), without saying yes or no: that is unfortunately all I can do at present », e motivandola con ragioni di politica interna.

In tali circostanze raggiunse il punto critico il conflitto già delienatosi fra il vecchio Cancelliere ed il giovane Guglielmo II, che finì, come è noto, con il ritiro del primo dalla direzione della politica dell'Impero (15 marzo 1890). Proprio in quei giorni correvano le trattative tra Schouvalow e Herbert Bismarck per il rinnovamento del Trattato russo-germanico, al quale anche Guglielmo II, in un primo tempo, si era mostrato favorevole. Ma con il ritiro di Bismarck, a cui seguì tosto quello del figlio, le trattative si arenarono, e non portarono più a conclusione, anche per l'influenza ormai decisiva che sulle direttive della politica estera germanica aveva assunto il barone Holstein.

Molto è stato scritto e molto si è discusso sulla opportunità e sulla stessa possibilità, per i successori di Bismarck, di continuarne la politica. Bismarck medesimo, come abbiamo anche qui voluto mettere in rilievo, non aveva principi dogmatici e rigidi nella sua politica estera, e con la massima elasticità egli sapeva spostarne il centro di gravità, conformemente al mutare delle circostanuze e, sempre, agli interessi dell'Impero germanico. Le direttive della sua politica fra il 1871 ed il 1890 possono così riassumersi: evitare in ogni modo che le velleità di rivincita francesi potessero tradursi in atto, e portare ad una coalizione anti-germanica; vincolare perciò alla Germania mediante trattati e accordi almeno tre o quattro delle sei grandi Potenze in giuoco; ma non contrarre alcun impegno che potesse coinvolgere l'Impero Germanico in una guerra, nella quale non fossero in causa supremi interessi germanici; evitare comunque un nuovo conflitto in Europa, dal quale la Germania non avrebbe avuto che a perdere. Mantenere i contrasti fra le altre Potenze, per assicurare alla Germania il prestigio di una ricercata ed autorevole mediazione; curare quanto più fosse possibile la preparazione militare.

La storia non può rispondere alla domanda sulla continuabilità della politica bismarckiana, nei riguardi della Russia, per il semplice fatto che un sistema complesso, come quello da lui creato, abbisognava di una mente geniale, come la sua, per essere padroneggiato. La storia può solo constatare che alla fine della lunga e proficua attività politica di lui, non vi era altra Potenza al mondo, forte come l'Impero Germanico e con altrettanto prestigio; nessuna, che vantasse tanti accordi e trattati con altri Stati. Nell'ultima sua opera lo Stieve (12) ha sinottica

(12) FREDRICH STIEVE: Deutschland und Europa 1890-1914. Verlag für Kulturpolitik. Berlino, 1927.

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mente rappresentato, su carte geografiche, la posizione lasciata all'Impero Germanico nel 1890 da Bismarck e quella alla quale si pervenne sotto i suoi successori nel corso dei ventiquattro anni interceduti sino all'agosto del 1914. Constatazione di fatto anche questa...

Il prof. Becker, che alla politica estera bismarckiana ha dedicato questa grande sua opera analizzatrice e riassuntiva, osserva giustamente che quella non ha termine con il ritiro del grande Cancelliere, ma solo con il crollo definitivo dell'edificio costruito. Due altri volumi fanno quindi seguito al primo, al quale abbiamo voluto qui limitare la nostra esposizione, perchè più viva ed immediata vi appare la figura del grande protago

nista.

MANFREDI GRAVINA.

LA POLITICA DEL CONTE WITTE

(Continuazione: Vedi fasc. LXXII).

VII. Guerra russo-giapponese. Witte plenipotenziario per la pace VIII. La pace di Portsmouth IX. Il successo di Witte e la costituzione del 1905 — XI. Il manifesto dello Zar sione di Gurko XIII. Il tramonto di Witte.

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X. I moti · XII. Una ver.

VII.

La guerra giapponese, come è noto, fu condotta dalla Russia con molto insuccesso. La ragione principale delle sconfitte militari fu non tanto la lontananza dal teatro delle azioni militari e la difficoltà di portarvi le forze e le munizioni; non tanto nella incapacità dei capi (ad onta, e si capisce, che influissero notevolmente anche queste ragioni), quanto il fatto che il governo russo era del tutto all'oscuro sullo sviluppo materiale, culturale e spirituale del suo rivale, di quei progressi che questo aveva compiuto durante gli ultimi 20 o 25 anni. I dirigenti russi avevano un'idea oltremodo errata del « paese del Sole Levante >> e trattavano i giapponesi, come uomini di razza inferiore, chiamandoli sprezzantemente « macacchi », non ammettendo neppure per un istante che essi potessero misurare le loro forze col colosso russo. La incapacità dei diplomatici russi, la leggerezza dell'addetto militare in Giappone, che assicurava il governo della piena nullità del Giappone, come potenza militare: ecco dove bisogna cercare prima di tutto la radice del male. Neppure il viaggio in Giappone del ministro della guerra Kuropatkin, sei mesi prima della guerra, aveva distrutto questa pericolosa illusione. Fidandosi dei dati dell'addetto militare, Kuropatkin ritornò a Pietroburgo con la convinzione, che le forze militari giapponesi erano ben lontane dall'essere di prim'ordine, e che l'organizzazione materiale dell'esercito era ancora in uno stato embrionale. Così bene i giapponesi sapevano nascondere il vero stato delle cose presso di loro e così poco seppero i militari russi comprenderlo, come si doveva.

Risultato: una sconfitta dietro l'altra. Alla fine del 1904 cadde Porto Arturo. Dopo la sventurata battaglia sotto Mukden la Manciuria Meridionale era definitivamente perduta. L'ultimo colpo fu la distruzione della flotta russa sotto Tsushima, nel maggio 1905. Da questo momento il pensiero della necessità di fare la pace comincia a trovare un fermo terreno. Witte parlò in questo senso allo Zar ancora molto tempo prima di Tsushima,

esponendo fra gli altri argomenti anche considerazioni di politica interna: un forte fermento nel paese, e la necessità di calmare l'opinione pubblica, che criticava aspramente il modo come erano condotte le azioni militari e gli scopi stessi della guerra. Alla fine del giugno 1905 il Presidente degli Stati Uniti di America, Roosevelt, offrì la sua mediazione che fu accettata volentieri da tutte e due le parti in lotta.

Sebbene la Russia non avesse perduto affatto la possibilità di continuare la lotta; sebbene all'esercito, anche dopo Mukden, continuamente affluissero soldati e munizioni (adesso anzi più che prima); tuttavia nei circoli governativi la fede nelle proprie forze era già perduta. Inoltre la lotta ulteriore avrebbe richiesto nuovi sacrifici anche umani, andare incontro ai quali era particolarmente difficile, dati i disordini che ebbero luogo in quell'epoca nell'interno della Russia. Anche nei circoli militari lo stato delle cose si presentava a colori ben lontani dall'esser lieti. Nel colloquio con Witte il Granduca Nicola Nicolaievic (il futuro generalissimo delle forze russe nell'ultima guerra mondiale) forse meglio che qualsiasi altro in quell'epoca al corrente della situazione militare della Russia, disse chiaramente, che sebbene la situazione dell'esercito fosse di tanto migliorata, che non c'era nessun fondamento per temere nuove sconfitte sul tipo di Liao-yang o di Mukden; sebbene, anzi, in circostanze favorevoli, si sarebbero potuti perfino respingere i giapponesi fino a Porto Arturo, cacciandoli di nuovo in Corea, tuttavia per far tutto questo sarebbe stato necessario non meno di un anno, un miliardo di rubli e 200 o 300 mila morti e feriti. E dopo? La mancanza di una flotta non avrebbe permesso di annientare i giapponesi, come potenza insulare. Il Giappone sarebbe rimasto sempre invulnerabile, ed intanto durante questo tempo avrebbe occupato senza ostacoli l'isola di Sachalin e una parte considerevole della regione vicino al mare. Il ministro della marina Biriljov a sua volta disse che la questione della flotta doveva essere seppellita e che il Giappone rappresentava in quel momento il padrone assoluto delle acque dell'Estremo Oriente. Così era considerato lo stato delle cose da parte russa. Ma la pace era necessaria non soltanto alla Russia. Le vittorie erano costate estremamente care ai giapponesi. Nei loro sforzi essi avevano raggiunta già la massima tensione, e comprendevano, che al primo successo delle forze russe, essi avrebbero corso il rischio di perdere tutto. Così la proposta di Roosevelt fu accolta favorevolmente.

Come principali plenipotenziarii della Russia furono dapprima fatti i nomi degli ambasciatori a Parigi (Nelidov) e a Roma (Muravjòv), ma quando sia l'uno che l'altro si rifiutarono, scusandosi con ragioni di salute, in realtà per timore di addossarsi un difficile compito senza speranza di uscire con onore dalle difficoltà che li aspettavano, la scelta dell'Imperatore Nicola si fermò su Witte, per quanto personalmente una tale decisione

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