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Macerata, e che dopo la di lei soppressione, fu trasportata, per cura del Canonico Compagnoni pochi anni sono nellla sagrestia del nostro Duomo, dove si vede la Vergine in trono col Bambino fra le braccia, e molti Santi all' intorno, e da un de lati Sant' Antonio Abate, e dall' altro San Giuliano. Questa tavola, che fu da Alegretto dipinta nell'anno 1369 ce lo dinota non meno perito nell'arte sua, di quello che lo vedemmo in varie altre opere, che lasciò nella sua patria (53). Non debbanc in fine andare dimenticati due suoi lavori, che dall'Italia passarono poch' anni sono in Prussia a decorare la R. Galleria di Berlino.

Consistono questi in due tavole: nella prima, è dipinta su d'un fondo dorato la Vergine avente il Bambino in grembo, con dalle parti S. Bartolommeo, e Santa Caterina. Nella seconda la deposizione di Cristo dalla Croce; opera, che onora il pittore tanto per una ben' determinata movenza nelle figure, che per una giusta, e regolare espressione negli affetti.

Fu questo Pittore amorosissimo marito d'una tal Catalina, (o Caterina), la quale ricorda con sommo affetto nel suo testamento, che dettò ad un tal Diotisalvi di Bonaventura da Fa briano li 26 di Settembre dell'anno 1373. In esso fa legato di molti suoi averi alla chiesa di S. Niccolò della sua patria (54).

Sorpreso Alegretto da fierissimi dolori ne fianchi (55) cessò di vivere nell' età di 79 anni nel 1385, e fu il suo cadavere sepolto nella chiesa di Santa Lucia de' PP. di San Domenico (56)

Visse in questo tempo ancora un Gio: Battista di Nuzio che attese all'arte della dipintura con lode secondo ne attesti I'Abb. Zani (57). Doveva esser questi stretto in parentela cor Alegretto, quando nom gli fosse anche fratello. Di costui non conosciamo opera veruna. E bensì noto, che un Francesco di Cecco, parimente di Fabbriano fu ad Alegretto emulo, e coetaneo Visse anch' egli lungamente a Firenze, ed ivi terminò la mortale sua carriera nell'anno 1386 (58). De lavori, che fece nella sua patria si conserva ancora nella chiesa di S. Lucia nella settima cappella una tavola con nostra Donna, ed il Bambino in grembo

a figura. In quest' opera, ch' egli fece nell'anno 1368 non ace in valore Alegretto, ravvisandosi in essa un maggior stento a contorni, e molta aridità nelle tinte (59). Era suo lavoro anche a tritico, che rimaneva ad un tempo nella camera, ove tenevano li Frati di S. Francesco, e che diviso in seguito ne ornache serve può dirsi di atrio alla biblioteca dele sesso convento. Vidi fra le altre una Vergine annunziata dil ligelo, ed in essa trovai questo nostro pittore avanzarsi in

a camera,

la prima. E ravvisasi bella altresì un' altra immagine ente della Vergine, dove fece tanto nel fondo del quadro, nelle vesti un grandissimo sfoggio di dorature (60). Argomen→ però che questi venissero superati da quei dipinti a fresco, ch'eseful in una delle cappelle della Chiesa e nel Capitolo di San Francesco San Severino, che più non esistano (61), Come parimente furono imte quelle dipinture che in questa medesima città fece in 'altra cappella dell' antico Duomo (dove concorse per la spesa o della famiglia Smeduzia nell'anno 1372) un suo creato, çalera Diotisalvi d' Angeluzio da S. Anatolia (62) niente inferiore merito al suo Maestro.

Ai Fabrianesi pertanto sembra, che noi dobbiamo il risorgio dell'arte del dipingere, i quali derivando il loro sapere alla toscana, propagarono le loro opere nelle nostre città, e si ero sul principio a quello stile, che non differisce punto da fato si faceva dai Maestri in quella fortunatissima regione. Se rumenti, e la storia non c'insegnassero a distinguerne la diffenoi facilmente prenderemmo in scambio talvolta le pitture Farnesi colle Fiorentine di questo tempo.

E se si condurrà qualcuno, che di queste cose prende diletto Fabriano, vedrà nelle molte tavole, e dipinture in muro, che

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a rimangono dopo le moltissime, che perirono, o che passaruno altrove, che non prendo abbaglio. Non saprei a chi convenga a che sia d'uno degli artisti di questa città quella tavola con Sant' Alberto monaco, che rimane nell' altare a parte destra della cappella maggiore della chiesa di Santa Croce di SassofeFato, sembrami che non possa da veruno contrastarsi (63): come

pure dev'essere della medesima scuola un' altra tavola con Cristo Crocifisso, che rimane nella chiesa di San Francesco di questa città,

Anche la parte settentrionale della nostra provincia godeva de' medesimi vantaggi, e li derivava anch' essa dalla Toscana. Morto Simone Memmi, dice Vasari, nel 1543. Lippo suo fratello terminò molte opere, che Simone aveva lasciate imperfette. È fra queste una Passione di Cristo, che aveva principiato in Ancona per la maggior cappella della chiesa di San Niccolò, nella quale Lippo proseguendo il lavoro, imitò quella, che aveva fatto nel capitolo di San Spirito di Firenze. Prosegue Vasari, che sarebbe stata quell' opera degna di più lunga vita, che per avventura non` le sarà concessa, essendo in essa molte belle attitudini di cavalli, e di soldati, i quali diresti, che con meraviglia stiano pensando se hanno, o nò crocifisso il figliuolo di Dio (64).

Se quelli d' Ancona dovevano moltissimo a quel Margaritone d' Arezzo, che aveva condecorato la loro città d' opere pregievoli tanto d'architettura, che di scoltura, non debbono meno ai fratelli Memmi, i quali con quest' esempio giovarono non poco a far avanzare l'arte del disegno anche in questa parte di provincia, dove era coltivata, ma con minore lode, come lo mostra un'atto dello statuto osimano del 19 Novembre del 1306 (65), e e la storia d' alcun' altro paese. E niun opera giunse certamente a pareggiare quel merito, che non si ottenne, che in progresso.

L'arte de' mosaicisti è a credersi, che a quest' età fosse comune a quasi tutti i pittori, e lo deduco dal vedere indistintamente chiamati pittori tntti quei mosaicisti, dei quali alcuni erano certamente anche pittori propriamente detti, come Lapo, Dato, Duccio, Cimabue, Giotto ec. Era pittore ancora Frate Mino da Turrita, il migliore fra i mosaicisti, dopo il risorgimento delle arti, e per tale si soscrisse ne' mosaici, che fece in Roma nell' abside di San Giovanni Laterano. Jacobus Torriti pictor hoc opus mosaycen fecit. Fra i molti discepoli, ch' ebbe Fr. Mino trovo che vi fu anche un Frate Giacomo da Camerino, al quale fu si benevolo, che lo scelse a compagno nel lavoro appunto che fece in San Giovanni affidatogli da Papa Niccolò IV. nel finire del secolo XII

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servano in questo dei putti nel fregio, a guisa di baccanali be' intesi, e graziosi. Nel centro è una croce misteriosa circondata Santi, tra quali San Francesco, e Sant' Antonio. A piedi della Vergine vedesi il ritratto di Papa Niccolò IV., il di cui nome è scritto al di sotto. Nei lati vi sono due Frati Minori, che hanno el mani varj istrumenti, che appartengono all' arte, come compe, squadra, martello, e simili. Uno di questi è probabilmente En lino. Sotto all' altro è scritto Fr. Jacobus de Camerino Su Magistri Operis recomandat se meritis B. Joannis (66). i questo lavoro tanto si distinse il nostro Camerinese, che in merito i mosaici di Giacomo romano, e quelli di sato suo figlio, che si vedono tanto in Roma, che in Criacastellana, non sarà fuor di proposito il supporre anche col Pad. Papini, che potesse essere adoperato quest'artista nei saici, che si lavorarono in Asssisi nella crociata della chiesa di B26, o in quelli dell' altare maggiore, o di certe cappelle, o a fine dell' ambone, per le quali opere non sappiamo precisamente pali fossero gli artefici, che vi operarono (67).

Ci si rende però noto che nel 1321 (68) questo Frate ito in Orvieto lavorò i mosaici di quel Duomo, ed il suo nome lo ve

unito a quello di varj mosaicisti Eugubini, che furono Patio, Lotto, Cecco, Buono, e Rainaldo, e con quest' ultimo vediamo poco dopo lavorare ne mosaici che si eseguirono nel plico palazzo di Gubbio (69).

L'Abb. Luigi De Angelis Bibliotecario Senese, che pubblicò

seppe

121 un saggio storico critico di Frate Mino da Turrita, sciò intentata veruna prattica, onde avere da Camerino i inuti ragguagli di questo compagno, e discepolo di Fr. Mino, di più di quello che si disse in una lettera, che io produco in appendice, la quale non rischiara punto quella giusta curiosità, che noi avremmo di sapere d' un'artista, che cooperò in meno del suo Maestro all' avanzamento della dipintura (70). Se da Niccola, e Giovanni Pisani derivammo il miglioramento ell'arte figurativa, dovremo pur dire, che anche agli Orafi desNoi disegni, e che quest'arte, che tanto grido ebbe specialmente

in questi tempi, debba ad essi il suo avanzamento. Io not mi tratterrò d'avantaggio a parlarne; giacchè nè ha trattato di recente con una dottrina, e con un' intelligenza invidiabile il Conte Cicognara nel suo libro sulla composizione e decomposi zione dei nielli, ed a questo rimando i miei lettori (71); per cui mi contento di rivolgere soltanto le mie ricerche su que a niello, 0 pochi lavori d'argento, o a basso rilievo, ancora si vedono presso di noi, tacendo di quei molti, che nell luttuosissime vicende del nostro secolo sparirono, ed infiniti furon guastati per far cose nuove, e per avventura anche brutte.

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Non fu concesso a me al pari di Lanzi, e di parecch illustri Fiorentini, che in solerzia biografica non furono adeguat fin' ora da altri dotti dell'Italia, il conoscere a chi appartene vano quelle scolture, e quei nielli che ornavano un'antica croc d'argento, ch' esisteva nella Chiesa comendataria di Sant' Elena nel territorio di Jesi, nella di cui parte d'avanti era l'immagin del Crocifisso, e sopra ad esso era scritto in lettere grech IAG-XPG, e al di sotto A. D. MCCXXXVIII temporibus D. Angel Ab., e alla testata di detta croce erano espressi a tutto riliev i quattro misteriosi animali d' Ezechiele. Nella parte di dietro po si vedevano cinque piccoli scavi rotondi una volta forse ripien di sacre reliquie, e nei piccoli giri erano effigiati a bulino la B. Vergine col divino Infante, Sant' Elena, San Benedetto, San Michele Arcangelo, ai cui piedi due Angeli, ed un Monaco colle mani giunte, e le ginocchia piegate, ch'è lo stesso Abate An-" gelo (72). Ci è ignota fin' ora l'attuale esistenza di questo pre gevolissimo lavoro.

Non deve esser molto lontana da questa medesima epoca pe suo travaglio un' altra croce parimente d'argento, che vidi ne agosto del 1831 nella nuova Chiesa collegiata della terra di Santa Vittoria, la quale appartenne agli antichi Monaci di Farfa, ove oltre bellissimi nielli vi si vedono ancora graziose figurine dipinte in smalto vitreo; meno il nome dell' Abate, che ne ordinò il lavoro, Eris è taciuto l'anno, e l'artista Ab. come si tace pure in un calice esistente nello stesso luogo

Gugdiis

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Gratia

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